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CENNI STORICI

 

Nella descrizione storica di Tito Livio, il paese di Letino era forse uno dei due Vichi - l’altra para fosse la Terra di Valle Agricola - abitato da antichissimi pastori; ma sembra vi fossero insediamenti umani già nel periodo neolitico.Lo testimoniano i resti delle mura poligonali, erette in cima alle "preci" o pietre, e che sono i più antichi monumenti degni di nota esistenti nel paese. Le mura, di cui oggi esistono pochissime vestigia, sono costituite da massi grezzi o al più grossolanamente lavorati, in roccia calcarea di moderate dimensioni, sovrapposti e tenuti insieme dal loro stesso peso. La presenza in ogni caso delle mura poligonali non dimostra per niente che il territorio fosse abitato in modo continuo. In ogni caso, a giudicare dalla mancanza di strutture collegate alle opere murarie, si può affermare che la recinzione, anche se imponente, serviva per formare un luogo riparato nel quale i pastori potevano rifugiarsi nell'eventualità di un pericolo o per soddisfare le esigenze pastorali di un popolo sempre in movimento.

            Restano i ruderi di un nucleo neolitico che sono i soli e magri resti dell’impegno collettivo degli antichi abitanti di Letino.

            Non si può escludere infine, un'importanza strategica collegata alla presenza delle mura ciclopiche, costruite, quindi, per impedire l'accesso al valico montano, punto obbligato di passaggio dalla pianura sottostante all'altopiano del Matese.

            Lo storico Tito Livio accenna ai due Vichi o villaggi, divisi tra loro da una montagna e distanti poche miglia. Altri storiografi, tra cui il Biondi, il Ciarlanti, l'Alberti, il Galanti e il Bacco, asseriscono che una piccolissima tribù di Sanniti Pentri, popolasse un villaggio chiamato Vicatim (l'attuale Letino ?), qui radunata per custodire gli armenti e che avrebbe costruito, per comodità di pascolo, delle rustiche e miserevoli capanne di pietra, coprendole con fascine.

In epoca romana divenne luogo fortificato. Già prima della venuta dei longobardi e dopo le incursioni degli infedeli saraceni del IX secolo d.C. e specificatamente le scorrerie dell'847, il Vico romano si trasforma in Castello, con torri mezzo tonde e quadre, con fortezza e mura merlate.

  Il Castello di Letino, topograficamente ha un’ampiezza abbastanza eccessiva rispetto al paese, che tra l'altro non stava ancora nel sito attuale, alle falde della collina. Costruito in forma rettangolare, con il lato maggiore Est - Ovest lungo circa metri 90 e, con il lato minore, Nord - Sud, largo circa 40 metri, non resta a supporre che sia stata una fortezza regia, con all'interno una piccolissima guarnigione di soldati destinata a sorvegliare e vigilare tutto l'alto Matese da possibili scorrerie. Il castello si sviluppò in epoca successiva, con i Normanni (1129 - 1195), gli audaci e rudi uomini del Nord, i quali compirono frequenti incursioni lungo tutte le coste italiane, insediandosi per 66 anni nel Reame di Napoli. Sotto Ruggiero Primo, la Terra del Tino raggiunse il suo massimo splendore d’arte militare.

Oltre all'elemento materiale di costruzione fortificata, il Castello n’aveva uno di netta distinzione razziale e politica: un signore normanno che governava una popolazione d’origine alloglotta, cioè greca.

            L'attuale nome Letino è di derivazione non troppa remota. Risale intorno alla seconda metà del Sec. XVII. In un documento del 1629 è citato come Lo Tino. In alcune stampe, dello stesso secolo, conservate negli Archivi del Monastero benedettino di Montecassino, si legge già Letino. Anche il Trutta, storico di Piedimonte, vissuto nel 1700, lo cita coll'odierno toponimo.

            Anticamente era il TINO, poi con l'aggiunta dell'articolo napoletano GLIU, LU, LO, si è trasformato in Letino. Etimologicamente Tino potrebbe derivare, o da THYNI - THYNORUM - dei Tini - popolo della Tracia meridionale dispersi dai Romani durante le diaspore greche, oppure da TINOS, isola delle Cicladi, nel Mare Egeo, le cui popolazioni emigrarono nell'Italia meridionale o, ancora, da TINA, divinità della Bitinia, regione posta ai confini tra Grecia e Turchia. Il tutto è, in ogni caso, ancora da verificare. In epoca non nota, forse durante i primi albori del Medioevo, un gruppo d’immigrati greco – turchi,  si mosse in direzione dell'Italia, proveniente dalla Via "d'Oriente", stanziandosi sul Massiccio del Matese e fermandosi alle falde del Monte Miletto, nelle località "la Taglia" e "Le Case", dove tuttora esistono dei ruderi. Non potendo però sopportare i rigori invernali e il clima abbastanza freddo, per le continue e abbondanti nevicate, cambiarono contrade, trasferendosi sull'antica strada che conduce a Roccamandolfi in Molise, nella contrada di San Pietro, ove s’individuano i resti di una strada lastricata, di una chiesetta dedicata all'Apostolo e di piccole casette di pastori. Di là, poiché il luogo era franoso per i continui smottamenti di terreno e anche perché esposto alla violenza della borea, passarono, intorno al 1500 nel sito dove attualmente si trova insediato l'agglomerato urbano di Letino.

            Nel Medioevo appartenne ad un Rainone di Prata che governò tra il 1118 e il 1154; successivamente la Terra del Tino, per volere di Papa Alessandro III (1159 - 1181), fu concesso in feudo alla Badessa di San Vittorino di Benevento (1168). Durante il 1200, su investitura di Federico II di Svevia, un Don Giovanni Pagano, Signore di Prata nel Principato Ultra (AV), prese possesso del Castello, amministrandolo per circa un secolo. Dal 1329 e fino alla prima metà del XVI secolo, Letino diventa un possesso della Baronìa di Prata, subendone lo stesso destino e gli stessi diritti feudali. Durante questo lungo periodo, si avvicendarono diverse Famiglie, tra cui i Capuano, i Sanframondo, i Pandone, i Mombel e finalmente i Lannoi. Dal 1570 al 1733, furono Signori di Letino, i De Penna e i de Matteis o Matteis. Nel corso di questo dominio, regnando a Napoli il Re Filippo IV (1621-1646), si ha notizia di una contribuzione versata alla Regia Corte dall'Università di Lo Tino per una somma di 140 Carlini (1629).

            Ultimo Signore di Letino, fu il Barone Marco Aurelio Carbonelli fino al 1806, quando con l’arrivo delle armi napoleoniche nel Regno di Napoli, furono soppresse le investiture baronali. Con la Legge del 2 agosto 1806 promulgata da Giuseppe Napoleone, Re di Napoli e di Sicilia, le servitù feudali furono definitivamente abolite e con il Decreto del 18 ottobre dello stesso  anno, anche le antiche Università subirono la medesima sorte e, al loro posto vennero istituiti i Decurionati, formati dal Sindaco e da  otto decurioni, eletti non dal popolo tutto, ma da una parte  privilegiata di esso.

            Nella "Comune di Letino", come in quasi tutti gli altri paesi del Distretto di Capua, costituito con la Legge dell'8 dicembre 1808 e ripartito in tre Distretti, tra cui quello di Piedimonte, la tornata per l'elezione del Decurionato Municipale, si svolse nel corso dello stesso mese.

            Con il ritorno sul Trono del Regno di Napoli dell'antica Dinastia borbonica, dopo l'irreversibile sconfitta dell’Imperatore Napoleone Bonaparte, Ferdinando I di Borbone con Reale Rescritto del 15 maggio 1816, n.360, rifondava il nuovo Distretto di Piedimonte comprendente ben otto Circondari, per un totale di 46 Comuni. Con questa legge, il paese di Letino entrava a far parte insieme a Ciorlano con l'unito Villaggio di Pratella, Fossaceca, Gallo e Prata, al Mandamento di Capriati a Volturno, fino al termine dell'anno 1926, quando con Regio Decreto Legge n. 1 del 2 gennaio 1927 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia l'11 dello stesso mese, il Mandamento di Capriati fu aggregato alla Provincia di Campobasso, mentre la Città di Piedimonte d'Alife, unitamente al suo Circondario dovette sottostare al nuovo ordinamento amministrativo e geografico, passando nella contigua provincia di Benevento. Si legge, infatti, in una Determinazione del Consiglio dei Sindaci del Circondario svoltosi nel novembre del 1944 che: " .....nell'anno 1927 il cessato regime fascista, allo scopo di punire esemplarmente le popolazioni della laboriosa Terra di Lavoro, dimostratisi apertamente ostili con atti, azioni e manifestazioni al nuovo stato politico, giunse alla soppressione della Provincia di Caserta...". L'anno precedente, lo stesso governo aveva abolito anche la figura del Sindaco, sostituendola con il Podestà, di nomina governativa.

            Il 7 gennaio 1946, la neo Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, con Decreto Legge n.1, ristabiliva l'autorità del Sindaco e del Consiglio Comunale, ripristinando la gloriosa e antica Provincia di Terra di Lavoro. Il resto è storia d’oggi.

Nella storia di Letino, alcuni fatti importanti: il Brigantaggio postunitario, il movimento anarchico di Cafiero e Malatesta, culminato con la creazione della Prima Repubblica Anarchica del Matese e i dolorosi e luttuosi avvenimenti legati alla ritirata nazista del secondo conflitto mondiale.

            Il primo, poco tramandato nella tradizione locale, interessò il paese per circa dieci lunghi anni, in una lotta senza respiro, fatta di scontri a fuoco, di ricatti e di grassazioni. Tra i più emblematici e funesti, l'invasione di Letino del 16 settembre 1861 e la fucilazione di cinque militi della Guardia Nazionale, per opera della banda di briganti capitanata da Domenico Angiolo Cecchino e Samuele Cimino, entrambi da Roccamandolfi. Sentenza eseguita nella Piazzetta davanti la Chiesa di San Giovanni.

            Altro triste episodio di brigantaggio, accaduto nel territorio comunale, è lo scontro a fuoco nel bosco di Casamara tra una pattuglia della 6^ Compagnia del 65° Fanteria di Linea stanziata in Letino e la banda riunita di Fuoco, Ciccone e Guerra. I documenti riportano che ad impegnare i soldati, i quali salivano sullo stretto sentiero in ordine serrato, furono le solo drude dei briganti, che accolsero i militari con una nutrita scarica di fucileria..Nel breve conflitto cadde, colpito alla fronte, il soldato Raffaele Porciu d’Udas, della Provincia di Cagliari. 

Da quel giorno,  27 agosto 1867,  per ricordare la giovane vita del militare, caduto per la patria, la località è ricordata come “ a' cullara r' suldatu “.

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